AFRICA

Nel 1938  poco più che diciottenne, Antonio Amore lascia la sua terra di origine per prendere parte, alla campagna militare in Africa. In prigionia, attorno agli anni ’40, l’artista conosce il pittore romano Cesare Stiavelli con il quale inizia una proficua collaborazione artistica. Le immagini che si susseguono sono dedicate ai disegni a matita dell’Africa, schizzi dalle tematiche umili che sembrano partecipare alla difficile condizione umana del periodo e quelli dei Compagni  di prigionia, carichi di sentimento di tristezza ma anche di affetto diaristico.

PERIODO ROMANO

Rientrato in Italia, dopo la campagna d’africa Antonio Amore, conosce Giacomo Balla amico del compagno di prigionia Cesare Stiavelli. Grazie ad un’assidua frequentazione col celebre Maestro del Futurismo, l’artista si avvale di preziosi consigli e di discussioni in merito all’arte. In questo periodo dal ’48 al ’64, Amore segue uno sviluppo artistico che sfocia naturalmente in esiti cubo-futuristi come nella serie delle Capre omeriche e dei Carrettieri Siciliani. Durante i suoi viaggi tra Roma e la sua terra d’origine, l’artista si dedica contemporaneamente al tema dei Minatori di Centuripe. Nascono così delle opere in cui l’occhio dell’artista è rivolto verso la povera gente, con temi tratti dalla vita quotidiana contadina.

L'INCONTRO CON LA SARDEGNA

Dopo la personale di Roma, nonostante gli apprezzamenti della critica, Antonio Amore si trasferisce in Sardegna per proseguire il suo percorso artistico in assoluta solitudine e cominciare ad insegnare negli Istituti d’Arte di Nuoro e Oristano. Giunto nell’isola l’artista prende dimora nella casa cantoniera di S’Isteddu, sui monti del Mandrolisai, dove inizia la ricerca di un espressione sarda nella sua pittura.

RICOMINCIARE DA CRISTO

Per Antonio Amore la tematica dell’Ecce Homo rimane una grande fonte di conforto. Nell’ultima fase dell’esistenza dell’artista i cristi  hanno, infatti, raggiunto una sintesi verticale di straordinaria purezza, un’insormontabile barriera ideale in opposizione alla dissoluzione sociale dei nostri tempi. La rappresentazione del Cristo diventa sempre più astratta, indicando esplicitamente, il vero punto di arrivo di un processo artistico iniziato con le tele della Galleria Anthea. Antonio Amore riduce così al minimo l’elemento descrittivo  per far emergere , al di là dei dettagli , l’assolutezza del sacrificio. Solo dopo la condanna alla sofferenza l’innocente trova finalmente la pietà e la liberazione.